April 12, 2019, Riccardo de Paolis
Vi scrivo durante una delle pause del 3° ritiro Internazionale di Rainbow Yoga.
Rainbow Yoga è un termine ispirato alla bandiera Rainbow per i diritti LGBT creata nel 1978 dall’artista Gilbert Baker in San Francisco.
I colori dell’arcobaleno riflettono la diversità della comunità LGBT ed in generale della vita quotidiana. L’idea del ritiro Rainbow Yoga nasce quindi da un’esigenza di creare un momento di condivisione della pratica e delle proprie esperienze personali in un contesto quale quello LGBT.
In questi anni ho lavorato con persone provenienti dagli Stati Uniti, UK, Germania, Spagna, Sud Africa, Giamaica, Italia e Svizzera ed è stato e continua ad essere estremamente stimolante. Ho avuta la possibilità di essere a contatto con diversi background culturali, stili di pratica e sopratutto vissuti personali.
A volte mi sono domandato se avesse senso creare un ritiro yoga solo per persone LGBT.
Mi sono ricordato così dei ritiri per sole donne organizzati spesso in Australia.
Quale può essere l’esigenza delle donne nel creare un ambiente intimo in cui praticare e confrontarsi? Forse la risposta può provenire dal fatto che la società moderna è ancora estremamente maschilista. I riferimenti che vengono forniti dai media sono spesso incentrati su una visione di donna-oggetto e preda dei desideri maschili. Le condizioni lavorative delle donne risultano essere ancora a loro svantaggio in molti Paesi, con profonde disparità salariali a parità di mansioni con i colleghi maschili. Inoltre, la violenza sulle donne ha raggiunto livelli molto elevati e si fa fatica a comprendere le ragioni di simili gesti.
Si spiega quindi l’esigenza delle donne nel trovare un momento per loro prezioso in cui poter condividere le proprie esperienze in totale sicurezza.
Quale può essere quindi il senso di un ritiro per persone omo-affettive?
Una delle idee è quella di poter esprimere liberamente il proprio vissuto in un ambiente ricettivo e sicuro. La maggior parte delle persone LGBT che ho conosciuto in questi anni durante questi ritiri hanno sperimentato sulla propria pelle gesti discriminatori.
In molti casi tali eventi, sia fisici che verbali, si sono verificati in Paesi che faticano ad integrare completamente le persone LGBT garantendo loro diritti pari a quelli degli altri cittadini.
Come si pone, quindi, lo Yoga nei confronti di questi vissuti? Ed in che modo può essere d’aiuto?
Un buon modo per avvicinarsi a queste esigenze è ricordarsi uno dei principi dello Yoga che è traducibile nella parola ‘accettazione’.
Quando pratichiamo cerchiamo di assumere una posizione allineata e di mantenerla in modo funzionale. Questo significa che ascoltiamo i limiti del nostro corpo e che siamo disposti ad accettare il primo livello di resistenza incontrato. Attraverso il respiro possiamo avere l’opportunità di approfondire una posizione specifica creando maggiore spazio. Tuttavia prima o poi si incontrano altri limiti e l’unica cosa che possiamo fare è ‘arrendersi’ in modo dolce ed amorevole a ciò che il nostro fisico è in grado di fare.
Prendiamo ad esempio una particolare zona del corpo: il bacino.
Per gli uomini in particolare il bacino è la cosiddetta ‘croce e delizia’.
Nel bacino memorizziamo costantemente tensioni e traumi legati ad eventi passati.
Inoltre, spesso un lato del bacino risulta più aperto rispetto all’altro. E’ proprio in occasione di posizioni come quella del Piccione (Eka Pada Rajakapotasana) che possiamo sperimentare delle difficoltà fisiche e mentali.
Accade così ad un tratto che vorremmo a tutti i costi che il nostro corpo fosse esattamente simmetrico ed allineato.
E’ una idea psicotica, permettetemi quest’affermazione, e completamente fuori dal corso naturale delle cose. Eppure la creiamo costantemente nella nostra mente. Pensare che saremo soddisfatti soltanto se avremo una perfetta simmetria nel corpo rischia di rendere la pratica frustrante e di privarla del suo significato originario. Quello che dico spesso agli studenti è di godersi il percorso che tende a quella simmetria. Potrebbe accadere in futuro, o forse no. L’importante è accettare, accogliere e creare un’attitudine amorevole verso il nostro corpo. Non è facile ed è giusto crearsi degli obiettivi.
L’invito che faccio è di portare lentamente in sottofondo il nostro obiettivo, focalizzando la nostra attenzione al respiro ed a ciò che il corpo ci comunica.
Queste difficoltà consentono di aprirsi alla idea di diversità dei nostri corpi e delle nostre esperienze. Alcune esperienze possono essere percepite come spiacevoli. Altre esperienze come più piacevoli. Ciò che è importante è allenarsi ad osservare, senza giudicare, ciò che accade nel corpo e nella nostra mente. In tal modo possiamo creare una distanza equanime tra il piacevole e lo spiacevole.
La pratica in un contesto come il Rainbow Yoga, mi sta dando l’opportunità anche di osservare l’importanza di posizioni che radicano fortemente a terra. Tutte le posizioni come quella del Guerriero II (Virabhadrasana II) consentono di stimolare questo forte contatto con la Terra e di sentire la nostra presenza QUI ed ORA.
Ogni volta che assumo questa posizione ricordo a me stesso queste parole:
Sono qui ed ho tutto il DIRITTO di essere me stesso così come sono. Piaccia o non piaccia.
Solitamente aggiungo anche che il Guerriero che andiamo a creare nell’Asana e nella nostra mente è un Guerriero di Pace che sceglie la non violenza fisica e verbale e che ha tutti gli strumenti per potersi difendere e per difendere il prossimo.
Crescere in un contesto sociale non accogliente e che discrimina persone con orientamento affettivo e sessuale diverso da quello del gruppo sociale dominante, determina spesso insicurezze e costanti insoddisfazioni.
Con lo Yoga possiamo lavorare con le nostre paure affrontando ad esempio posizioni come le inversioni. Le inversioni, quando fatte in totale sicurezza, sono un’opportunità per osservare le nostre vite da altri punti di vista. A volte siamo presi da pensieri ruminanti che si affacciano costantemente e dai quali difficilmente riusciamo a prendere distanza.
Le inversioni consentono di portare il focus attentivo in altre dimensioni decongestionando, in tal modo, la mente.
Lavorando inoltre con le aperture del petto possiamo comunicare al nostro corpo ed alla nostra mente una volontà di rivolgere la nostra attenzione al mondo percepito come esterno.
Dopo aver generata un’attenzione amorevole verso noi stessi possiamo piano piano aprirci verso il nostro compagno di pratica. Possiamo renderci disponibili ad ‘ascoltare’ con la nostra presenza il loro vissuto che si manifesta con le Asana ed anche con i momenti di spontanea condivisione verbali e non verbali.
Il Rainbow Yoga assume quindi un significato particolare per me e certamente mi rende una persona più completa.
Mi piace concludere queste brevi riflessioni con una frase di Harvey Milk, militante del movimento di liberazione omosessuale, assassinato assieme al sindaco di San Francisco George Moscone nel 1978:
‘Tutte le persone giovani, a prescindere dalla loro identità o dall’orientamento sessuale, meritano un ambiente sicuro nel quale raggiungere il loro massimo potenziale.’
Namastè
Riccardo De Paolis
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