April 24, 2020, Riccardo de Paolis
Venerdì 17 Aprile 2020 si è tenuta la nostra prima lezione della serie di classi chiamata ‘Viaggio nello Yoga’.
Il percorso si pone come obiettivo quello di esplorare lo Yoga nelle sue forme tramite l’utilizzo di supporti come cinte, blocchetti, cuscini, sedie e pareti.
Si vuole portare enfasi sulle tecniche di respirazione intese come un elemento fondante della pratica dello Yoga.
Ci si apre infine alla possibilità di avvicinarsi alla meditazione seduta di consapevolezza e ai principi che possono guidarci in ogni posizione.
Viaggio nello Yoga ripercorre gli otto stadi dello Yoga descritti da Patanjali nello Yoga Sutra scritto attorno il secondo secolo C.E. (nell’era comune).
Il percorso è ideale per chi si avvicina per la prima volta allo Yoga ed è fondamentale, a mio parere, per chi già pratica, per trovare nuovi spunti di riflessione e nuove prospettive incorporandole nella nostra vita quotidiana.
Patanjali viene considerato come colui che ha raccolto gli antichi insegnamenti di Yoga in un insieme organico di pratiche fisiche e spirituali.
La storia dello Yoga ha tuttavia origini ben più lontane e misteriose e può essere suddivisa in quattro periodi:
- Il periodo Vedico
- Il periodo Pre-Classico
- Il periodo Classico
- Il periodo post-Classico
Il periodo Vedico
Gli albori dello Yoga possono essere ricondotti alla civiltà Indu-Sarasvati che viveva nel nord dell’India 5.000 anni fa. La parola Yoga viene menzionata per la prima volta nei testi sacri del Rig Veda, contenenti canzoni, mantra e rituali utilizzati dai Brahmini e dai sacerdoti Vedici. Negli anni i Brahmini e i Rishi (veggenti mistici) arricchiranno i testi sulla base delle loro esperienze dirette.
Figura 1: Manoscritto dei Veda
Il periodo Pre-Classico
E’ caratterizzato dalla comparsa dei testi delle Upanishad, ben 200 scritture risalenti all’VIII e al VII secolo B.C.E.(prima dell’era comune).
Tali scritture descrivono la visione della realtà frutto di pratiche di meditazione e rituali devozionali per Brahman. Brahman rappresenta il principio universale e infinito che pervade la realtà.
Le Upanishad sono un approfondimento degli insegnamenti dei Veda e si focalizzano su tre aspetti principali:
- La realtà ultima (Brahman)
- Il Sè trascendentale (Atman)
- La relazione tra Brahman e Atman
In particolare gli insegnamenti delle Upanishad trattano della origine e del destino dell’uomo, di quale ragione regga le varie vicende dell’esistenza, di quale sia il fondamento ultimo dell’universo e della vita. L’insieme di pratiche vertono sull’autorealizzazione, per rifiutare, o perlomeno ridimensionare, l’importanza dei sacrifici vedici. Si tende alla liberazione (moksha), un obiettivo che è possibile raggiungere soltanto uscendo dal samsara, il ciclo delle nascite e delle morti. [1]
Lo Yoga condivide alcune caratteristiche non solo con l’Induismo ma anche con il Buddismo.
L’insegnamento del Buddha risale al VI secolo B.C.E.(prima dell’era comune), e pone particolare enfasi sulla meditazione seduta. Buddha fu un fervente praticante, conoscitore dello Yoga e dei testi vedici e creò un sistema, l’Ottuplice Sentiero, volto alla liberazione dalla sofferenza di tutti gli esseri basato sulla esperienza concreta, quotidiana delle persone.
Siddhartha Gautama raggiunse l’illuminazione all’età di 35 anni.
Attorno allo stesso periodo storico del Buddha si diffonde il testo della Bhagavad Gita, parte del poema epico Mahabharata. La Bhagavad Gita si compone di 700 versi ed è tra i testi induisti più famosi. Il poema riporta un dialogo tra il principe Arjuna e la sua guida ed auriga Krishna. La storia si svolge davanti ad un campo di battaglia, poco prima di una guerra colossale a cui prenderà parte Arjuna, il quale va dal suo amico Krishna per cercare aiuto.
Il punto centrale della Bhagavad Gita è che essere vivi significa essere attivi.
Per ridurre la sofferenza nostra e altrui è necessario agire in modo non egoico.
Così come le Upanishad espandono gli insegnamenti dei Veda, la Bhagavad Gita incorpora ed espande l’insegnamento delle Upanishad.[2]
Il Periodo Classico
Il periodo classico inizia con la creazione dello Yoga Sutra di Patanjali attorno al secondo secolo C.E. (nell’era comune). Patanjali sintetizza e organizza tutta la conoscenza dello Yoga in 195 aforismi o versi, dando origine ai cosiddetti Otto Stadi dello Yoga. I primi elementi sono regole e condotte etiche e morali individuali e collettive. Le Asana sono concepite per dare vigore e vitalità e preparare il praticante ad accedere a livelli più profondi. Il Pranayama è il mezzo che connette il respiro al corpo e guida verso la pratica della meditazione.
Il Pratyahara si basa sul controllo dei sensi inteso come distacco dall’oggetto della mente, ad esempio con la pratica di Yoga Nidra.
Dharana è la meditazione concentrata su un oggetto e Dhyana è la sua evoluzione ed estensione che apre il praticante alla possibilità della illuminazione o Samadhi.
Figura 2: gli otto stadi dello Yoga
Il periodo Post-Classico
Alcuni secoli dopo Patanjali, i maestri di Yoga crearono un sistema di pratiche volto a ringiovanire il corpo e prolungare la vita.
Tali maestri rifiutarono gli antichi Veda e considerarono il corpo come un mezzo per raggiungere l’illuminazione.
Venne sviluppato il Tantra Yoga con specifiche tecniche per purificare il corpo e la mente. L’esplorazione della relazione tra corpo e mente ha contribuito alla nascita di ciò che nell’occidente viene considerato in genere lo Yoga: l’Hatha Yoga.
Lo Yoga inizia quindi a diffondersi nell’Occidente all’inizio del 1900 come una filosofia. Negli anni 1920-1930 i maestri T. Krishnamacharya, Swami Sivananda iniziarono a diffondere l’Hatha Yoga in India, arrivando fino a giorni nostri tramite la trasmissione degli insegnamenti attraverso diverse scuole e approcci alla pratica.
Figura 3: Linea temporale storica dello Yoga – fonte: gis yoga spring 2016
Ahimsa – La non violenza
Nella prima lezione di ‘ Viaggio nello Yoga’ abbiamo preso in considerazione uno dei principi degli Otto stadi dello Yoga, chiamato Ahimsa.
Ahimsa fa parte delle regole e condotte etiche e morali personali chiamate Yama e significa
non violenza.
Figura 4: gli elementi dello Yama
Quando pratichiamo Yoga viene data enfasi all’allineamento per salvaguardare il nostro corpo. Se consideriamo il nostro corpo come un Universo in movimento, possiamo scorgere una possibilità di pratica non solo sul tappetino ma anche nel quotidiano.
A volte spinti dall’entusiasmo andiamo oltre i nostri limiti. Ahimsa ci invita a ricordare di mollare la presa dell’ego. Vogliamo accettare le sfide e al tempo stesso riconoscere il luogo, lo spazio e il tempo in cui siamo. Siamo consapevoli della posizione sul tappetino così come nella nostra vita, il punto da cui partiamo per poterci muovere verso un obiettivo.
Talvolta l’obiettivo può essere facilmente raggiunto. Altre volte può sembrare un miraggio. Come ci relazioniamo con quelle posizioni che non riusciamo ad accedere subito?
Un possibile insegnamento potrebbe essere quello di generare un senso di Compassione e di apertura verso noi stessi. L’utilizzo dei blocchi, delle cinte o delle sedie ci aiuta a creare delle condizioni più favorevoli per aumentare lo spazio nel nostro corpo.
Riconosciamo l’importanza dell’impegno quotidiano e della responsabilità verso noi stessi.
Un altro modo di praticare la non violenza è il ‘non – uccidere’ un’Asana.
Talvolta accediamo alle Asana che già conosciamo, in un modo poco energico.
Questo accade perché siamo distratti o sorgono dei pre-giudizi pensando di conoscere tutto di quella posizione. Questi pregiudizi ci limitano l’esperienza quotidiana e ci privano di un senso di apertura e di leggerezza non solo verso le posizioni fisiche ma anche nelle relazioni con gli altri.
Ogni singola posizione va energizzata, così come ogni relazione con il prossimo.
Durante le forme va sentito ed esplorato ogni dettaglio, dalla punta dei piedi ai muscoli del volto.
Molliamo la presa e osserviamo con curiosità portando vitalità nelle estremità del corpo e successivamente con il respiro, liberiamo gli organi interni e creiamo maggiore spazio.
In un altro senso potremmo dire che Ahimsa è il creare e l’immaginare ogni singola Asana come un momento sacro, perché irripetibile e unico.
In quel momento preciso siamo noi tutti assieme che creiamo una forma, che le diamo un significato anatomico e psicologico. Ricordiamoci che è una forma in un Universo che viaggia e si muove con leggi prestabilite di causa ed effetto. Con la mente possiamo cogliere queste connessioni e gioire di ogni singola posizione, di ogni singolo respiro.
Un esercizio di consapevolezza a casa
Un esercizio di pratica che consiglio sempre è quello di sdraiarsi a terra prima e dopo la pratica.
Provate a rilassare tutto il corpo completamente a terra e a percepirne i punti di contatto partendo dalla base dei piedi e risalendo il corpo fino alla parte della testa.
Osservate con calma e rimanete in ascolto di ciò che il corpo vi comunica.
Al termine della pratica quotidiana, durante lo Savasana, osservate ancora il corpo come si appoggia alla terra e notate se ci sono delle differenze con l’inizio della classe.
Il corpo risponde sempre al principio di Ahimsa.
Bibliografia
[1] -Tratto da La Filosofia Indiana – Leonardo Arena – Edizioni Newton e Upanishad a cura di Carlo della Casa – Edizioni Utet
[2] Byron Yoga Centre – Certificate IV program – Yoga History presentation
Namastè
Riccardo
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